Non so se la locuzione latina sia corretta o meno… mi sono voluto ispirare alla ben più famosa cogito, ergo sum penso, quindi sono.
Ho voluto ribaltare il punto di vista e ne è uscito un sono, quindi comunico.
Perché la fotografia è comunicazione.
Che ti piaccia o no, che tu ne sia consapevole o meno, quando fai una fotografia comunichi qualcosa.
Sebbene guardando il rete sembra di vedere fotografie tutte uguali anche queste comunicano.
Comunicano, ad esempio, il bisogno di appartenere ad un gruppo (io sono un fotografo paesaggista, io invece uno street photographer, ecc.). Comunicano il desiderio di uniformarsi (la stessa identica fotografia fatta dallo stesso identico punto di ripresa alla stessa identica ora del giorno). Comunicano il desiderio di emergere (le foto dei nostri viaggi in luoghi speciali, la macchina nuova, un vestito particolare, una pietanza gourmet). Comunicano un crescente e problematico culto della propria persona (selfie, selfie, selfie, selfie…).
Il risultato di tutto ciò è una comunicazione piuttosto semplice e vuota ma identifica questo momento storico di incertezza, di voglia di riscatto ma neppure tanta (non importa se faccio una vita di merda: mi importa di avere il mio riscatto il fine settimana oppure durante una sempre più breve vacanza).
Io non sono assolutamente contrario alle foto delle vacanze ma che cosa succederebbe se ti sforzassi un po’ di più? Andando ad osservare con meno superficialità la scena? Cercando di comunicare qualcosa di leggermente diverso dal solito?
Basta poco per cambiare completamente le carte in tavola (e per cambiare completamente il messaggio!).
Posso dire che la seconda immagine comunica non solo qualcosa di diverso ma qualcosa IN PIU’ della prima?
Ovviamente sì, perché non si limita a registrare ciò che ho davanti agli occhi ma inizia ad interpretarlo.
Il colore azzurro del cielo e del mare, la superficie increspata dell’acqua, le nuvole estive e il molo decentrato della prima fotografia sono tutti elementi riconoscibili e facilmente interpretabili: si tratta di una fotografia ripresa da una spiaggia o da un piccolo porto. Tutto qui. L’unico dubbio che potrebbe venire al nostro osservatore è, appunto, il luogo dello scatto ma nient’altro.
La seconda immagine è totalmente diversa. Il colore sparisce (mattino? sera? estate? inverno?). Il lungo tempo di scatto trasfigura le nuvole (estive o temporalesche?) e la superficie dell’acqua (mare o lago?). Se tutta la scena si muove, grazie all’esposizione prolungata, il molo posizionato al centro dell’inquadratura la rende invece assolutamente statica, quasi ipnotica.
Non potrebbe essere una fotografia scattata su di un pianeta alieno?
Il vero passaggio comunicativo lo si raggiunge nel momento in cui si abbandona il modus comune (non me ne frega più niente di fare le foto che fanno gli altri). Per forza di cose - in questo momento - inizieranno a scarseggiare i pollici alzati e gli WOW ma accadrà un mezzo miracolo perché libero dalle costrizioni di compiacere gli altri alla ricerca di piccole soddisfazioni, potrai iniziare a parlare la tua lingua.
Quando sono uscito per fare questa fotografia non avevo in mente un progetto preciso. Volevo andare in quel posto in un periodo preciso e particolare (la vigilia di Natale).
Di questa passeggiata ho già raccontato QUI ma ora voglio concentrarmi su questa singola immagine.
Durante questa passeggiata del tutto particolare ho voluto ritrarre il luogo di un assassinio perpetrato dai nazi-fascisti nel paese in cui vivo.
Il cippo di marmo posato alla memoria si vede a malapena, sulla destra, sopra l’argine del torrente. La nebbia, l’erba secca, gli alberi spogli sono tutti elementi che caratterizzano la scena che i ragazzi fucilati in quel luogo avranno, molto probabilmente, visto prima di chiudere per sempre gli occhi. Il freddo pungente e umido è percepibile. Il palo in primo piano richiama il palo a cui, nella memoria comune, veniva legato il condannato alla fucilazione ma anche un muto testimone che osserva la scena.
La fotografia è leggermente sfocata (giusto per rimarcare la differenza, in rete non troverai MAI foto tecnicamente imperfette!) per simulare la vista attraverso gli occhi gonfi di lacrime dell’osservatore (la madre di uno dei ragazzi?).
I fili dell’alta tensione sono stati lasciati lì dove sono. Avrei potuto toglierli con poca fatica e qualche minuto di post-produzione ma è ormai da tempo che lascio nelle mie fotografie anche questi elementi di disturbo proprio per caratterizzarle. Non volevo scattare un’immagine che sembrasse ripresa quel giorno ma riprendere la scena in questo preciso istante perché, oltre 70 anni dopo, ci sia ancora memoria di questi luoghi e ci siano ancora lacrime da piangere.
Solamente guardandosi un po’ di più dentro è possibile iniziare a comunicare qualcosa di personale e non di standardizzato e di approvato dalla comunità.
Inizierai a fare qualche foto strana? Sì, certamente.
Ci saranno diverse foto da buttare? Anche…
Ma, non scoraggiarti.
Pensando di comunicare qualcosa di personale e di unico, qualcosa che scaturisce dal mio cervello, dal mio vissuto quindi totalmente intimo sono arrivato a fare questa fotografia.
Questo non è un rettangolo nero ma una fotografia sottoposta ad una post-produzione con l’obiettivo di renderla così.
Ma che razza di foto è?! Che cosa comunica?
Potrebbe essere il modo di interpretare un momento degno di essere ricordato di un ipovedente?
La scena è praticamente nera ma le luci di un lampadario (forse) vengono registrate.
Oppure il fotografo si è divertito a scambiare i ruoli e ha reso ipovedenti tutti gli osservatori!
Se tu non potessi vedere e andassi a visitare una mostra fotografica vedresti foto come questa, non trovi?
Forse, invece, il fotografo vorrebbe condividere con te un momento bellissimo della propria vita che è riuscito ad immortalare ma si tratta di una cosa talmente intima e personale che non vuole sbandierarla ai quattro venti e la tiene per sè. Un piccolo segreto felice.
Lui sa perfettamente che cosa è stato registrato sul negativo digitale e vede benissimo attraverso i pixel neri. Addirittura si commuove!
Anche questo, in fondo, è un modo di comunicare.