L’accostamento delle parole fotografia e verità mi ha sempre intrigato molto e quando mi sono trovato davanti la Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca ho avuto modo di riflettere ulteriormente su questa cosa.
La costruzione della cattedrale risale alla metà del 1800 e la sua demolizione a suon di dinamite al 5 dicembre 1931. Le cronache russe raccontano che servì circa un anno di tempo per sgomberare l’area dalle macerie.
Al suo posto sarebbe dovuto sorgere un avveniristico palazzo. Peccato che la Moscova allagò i vasti scavi delle fondamenta e così Nikita Chruscev decise di realizzare un’immensa piscina.
Solo nei primi anni 90 (questa è storia dei nostri giorni) vennero iniziati i lavori per la sua ricostruzione che terminò con la consacrazione ufficiale dell’edificio sacro nel 2000
Tutto questo preambolo per dirvi che…
La cattedrale è una copia!
Una copia fedelissima all’originale, certo, ma comunque una copia.
Voi vedete una cattedrale uguale a quella cattedrale ma che non è quella cattedrale.
Non so se mi spiego… l’occhio del turista distratto è appagato ma la mente della persona un po’ più informata no! La fotografia qui sopra è il più grande fotomontaggio che io abbia mai toccato con mano!
Il confine tra verità e menzogna, in questo caso, è veramente sottile e pretestuoso (in fondo la Cattedrale di Cristo Salvatore oggi è quella) ma è bene ricordare che non è sempre così.
Non faccio riferimento solo ai fotomontaggi in senso stretto, alla digital art, agli strumenti che oggi abbiamo per creare realtà virtuali al 100% ma mi riferisco al fatto che la fotografia, spesso e volentieri, mente. E qualcuno ancora si ostina a dire che la post-produzione è un male perché le fotografie devono essere naturali, intonse così come il sensore (o la pellicola) le registra…
Ogni fotografia mente semplicemente per il fatto che vi mostra un piccolo riquadro di realtà così come la vede il fotografo.
Ma soprattutto mente perché non potete vedere ciò che non c’è, e ciò che il fotografo ha deciso di lasciare fuori dall’inquadratura non lo saprete mai.
Anche senza alcuna post-produzione, quindi, una fotografia mente sempre almeno un po’.
Il gabbiano in volo
Cosa c’è di più riconoscibile - nell’immaginario di ognuno di noi - di un bianco gabbiano che si libra nel cielo estivo colorato di un blu intenso?
La fotografia qui sopra è un classico archetipo.
Osservandola si sente il profumo della salsedine, le voci dei bambini che giocano sulla spiaggia, il vento sulla faccia e il calore del sole che brucia la pelle.
Praticamente tutti siamo in grado di fare una fotografia del genere dalla spiaggia e, per questo motivo, il pensiero di ognuno corre al mare.
Eppure, se vi devo svelare il segreto (!?) di questa fotografia, devo dirvi che il gabbiano l’ho fotografato vicino a casa mia.
E come hai fatto a trovare un gabbiano a Reggio Emilia??
L’ho cercato nello stesso posto in cui andrei a cercarlo in una qualunque città lontano dal mare… in una discarica di rifiuti.
E il cielo azzurro estivo??
Era un cielo grigio, lattiginoso di metà primavera che la conversione in bianco e nero ha reso irriconoscibile.
E la salsedine? E le risate dei bambini che giocano? E il sole che brucia la pelle?
Fetore di rifiuti, rumore di ruspe al lavoro e una bella giacca pesante per ripararsi dalla temperatura ancora troppo bassa per una maglietta con le maniche corte!
State in guardia dal fotografo!
Siete proprio sicuri che l’inganno sia celato dietro un po’ di post-produzione?