La fine del topo

Pubblicato da Maurizio il 28/01/2023
Aggiornato il 28/10/2024
Tempo di lettura, circa 3 minuti

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Fare la fine del topo significa - metaforicamente - restare intrappolati e morire.

Morire in trappola non è mai una dolce morte.

Per prendere un topo che si infila in casa e si nasconde in cucina, e prenderlo velocemente prima che inizi a fare danni, io conosco un solo metodo infallibile: la colla.

Il topo annusa l’esca e si avvicina rimanendo invischiato con le zampette anteriori.

Nel tentativo di liberarsi rimane sempre più preso nella morsa.

Più si agita (nel vano tentativo di scappare) e più rimane incollato.

Presto si troverà con l’intero corpo immobilizzato e la forza della colla è tale che ogni movimento gli verrà precluso: anche il respiro.

Avrei potuto finirlo rapidamente (per non farlo soffrire, intendo) ma sarei stato il suo assassino così ho lasciato che la natura facesse il suo corso e che, dopo un’agonia di qualche ora, il topo morisse da solo.

Sei rimasto indifferente a questa spiegazione? Sei scandalizzato? Schifato?

Ognuno di noi interpreta questa cosa in modo diverso.

Povero topolino!

oppure…

In fondo si tratta solamente di un topo!

E se al suo posto ci fosse stato un gattino?

Oppure un tenero cucciolo di cane?

Sicuramente le reazioni sarebbero state unanimemente a favore dell’animale.

Ma torniamo al nostro topo.

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Un topolino di campagna in trappola

Avrei dovuto ucciderlo e terminare così la sua sofferenza?

Oppure ho fatto bene a lasciare che la Natura facesse il suo corso?

La Natura con la N maiuscola. Oppure Madre Natura come poeticamente dicono in tanti.

Quella Madre Natura che fa sì che gli animali si mangiano tra di loro.

Un serpente stritola la sua preda soffocandola e spezzandole le ossa prima di ingoiarla intera.

Un varano avvelena il suo futuro pasto e poi lo segue per giorni interi prima che questo cada a terra febbricitante e venga quindi mangiato vivo.

Non mi sembra che una madre possa veramente fare questo, eppure per tanti di noi la natura si esprime con un tramonto o un paesaggio mozzafiato e mai con un rapace che smembra i pulcini nel loro nido…

Quando guardi una fotografia tu fai esattamente la stessa cosa.

La guardi attraverso i tuoi occhi, la tua educazione, le tue tradizioni. I tuoi filtri.

Per un orientale non c’è nessun problema nell’avere un cane da compagnia e un cane che diventa la sua cena.

Per te è inconcepibile.

La morte altro non è che l’ultimo atto della vita. Una cosa normale. Naturale.

Perché non fotografarla?

Conosci la tradizione vittoriana che prevedeva di fotografare i cadaveri delle persone amate?

Prova a fare qualche ricerca sul web.

Oggi questa cosa verrebbe considerata un abominio mentre allora era una cosa normale. Naturale. Farsi una fotografia non era una pratica semplice come oggi e qualcuno non aveva di sè alcuna immagine se non quella del suo corpo morto.

Per assurdo oggi è proprio la fotografia che sembra debba fare la fine del topo soffocata dalle mode, dal già visto, dalle buone [troppe] regole, dal politically correct.

Eppure io credo che la fotografia abbia ancora tantissimo da dire.

Non è la fotografia che sta soffocando ma sono, a mio parere, i fotografi.

Sono i fotografi che non sanno più che cosa dire. Oppure che si adeguano alle mode perché vogliono emergere, essere notati.

Nella colla ci finisci solo se annusi il profumo dell’esca ma l’esca è lì solamente per catturarti e farti finire in trappola.

L’occhio nerissimo e vispo del topo (luminoso e acceso anche da morto) non è bastato a salvarlo.

L’esca lo ha invogliato e la colla lo ha catturato, avvolto e ucciso.


etichette: filosofia



Lucdam77

18/04/2025 alle 10:01

Di solito la fine del topo è che se lo mangia il gatto

Maurizio

18/04/2025 alle 15:25

Avrei dovuto intitolarlo 'una delle possibili fine del topo' :-)

Michela

18/04/2025 alle 11:30

Fortunatamente questa lettura mi ha molto ferita. Ed è forse proprio questo il punto. È questa la provocazione, no? Io, da autistica, faccio fatica a comprendere certe logiche sociali. Perché ho un’empatia radicale verso tutte le forme di vita – anche quelle ritenute “minori”. Avevo un topo in cucina. L’ho catturato con una gabbietta e un pezzetto di formaggio. Ho aspettato. In meno di un’ora era già libero. Perché no, non riesco a sopportare l’idea di togliere la vita a qualcuno che ha paura, che respira. Non perché io sia una santa, eh. Ma perché sento – col respiro, con la paura – come se fossero miei. È un testo scritto molto bene. Provoca emozioni contrastanti, e apre una riflessione sempre attuale sullo specismo. Ti ringrazio. Perché a volte generare consapevolezza anche attraverso il dolore è cosa giusta. E serve. Serve a risvegliare le coscienze. Anche quelle che credevano di essere già sveglie.

Maurizio

18/04/2025 alle 15:30

Grazie per il bellissimo pensiero. In effetti, come scrivo nella presentazione del mio sito, se una foto lascia indifferenti non è venuta bene. Siamo anestetizzati da migliaia di immagini tutte uguali, tecnicamente perfette ma che ci scordiamo dopo due secondi... Viva la provocazione! e per fortuna che ci sono persone che usano ancora la testa e che hanno sentimenti profondi come i tuoi.


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